"Per un alpinista le vie nuove sono le sue opere d'arte.“

Vie nuove 1950 - 1958

1950 - Adamello. Ago di Nardis. Val Gabbiolo

Con Fausto Susatti.
Dal Rifugio Stella Alpina in Val di Genova, un ripido sentiero porta all'inizio della Val Gabbiolo, dove si trova un bivacco di fortuna, costruito con ramaglie, comunque utile e comodo. Su, in alto della valle, troneggia la Torre Bignami, salita a suo tempo da Oggioni e Aiazzi. Sulla destra domina l'Ago di Nardis, con belle pareti di granito grigio, sal e pever. La maggiore difficoltà di quella originale avventura è stata il ritorno al bivacco di fortuna dal quale eravamo partiti. Abbiamo dovuto fare un lungo giro fra le tracce e i baraccamenti della Prima Guerra mondiale che ci obbligò a passare la notte all'aperto cielo, senza abbigliamento adeguato, muniti solo di giacca a vento.
Un'esperienza che ho rivissuto dopo anni, nel 1969, sulla cresta della Punta Serauta, in Marmolada, dopo aver aperto con Mariano Frizzera, Vasco Taldo e Josve Aiazzi la via Nives Rosa, una giovane bella ragazza veneziana, vittima del suo desiderio di salire in alto magari senza la dovuta preparazione tecnica, che avevamo raccolto morente sulla Torre Venezia in Civetta.
Comunque è stata un'esperienza meravigliosa. Seguendo le piste dei camosci, abbiamo potuto vedere l'incredibile capacità di questi ungulati di scendere su placche di roccia, dove noi usavamo la corda doppia. E quanti ceppi di stelle alpine giganti accompagnavano il nostro cammino.

L'Ago di Nardis in Val Gabbiolo.
Aste sulla guglia di Castel Corno
Gruppo rocciatori Ezio Polo

1951 - Brenta. Cima d'Ambiez. Parete Sud Est.

Con Franco Salice.
Per una errata lettura della Guida del Castiglioni circa la Parete Sud Est della Cima d'Ambiez, credendo di ripetere la Via Stenico-Girardi, avevo aperto una via nuova su quella roccia ideale che, con mia grande gioia, risultò essere parallela a quella dei miei maestri Pino Fox e Marino Stenico. Via che, nel 1953, ho ripetuto da solo con una variante diretta. A proposito della Fox-Stenico, ancora prima di essere tracciata, lo stesso Fox aveva, con Bruno Detassis, tentato quella via. Bruno non era riuscito a superare il passaggio d'attacco, che è il più difficile della via. Pino aveva chiesto a Bruno di lasciarlo provare. Ma si sentì dire che dove non passava un Detassis non passava nessuno. Dico questo perché l'ho saputo da fonte assolutamente credibile. Non per fare uno sgarbo al compianto grande Bruno, ma per la verità storica.

La Val d'Ambiez
La cima d'Ambiez
La parete d'Ambiez da Est

1953 - Brenta. Cima Sud di Pratofiorito. Parete Est

31 Luglio - 1° Agosto. Con Fausto Susatti.
Nella Guida del Castiglioni avevo letto: "La superba parete della Cima Sud, invece, ancora inaccessa, costituisce senz'altro il più importante ed arduo problema alpinistico che ancora rimanga insoluto in Val d'Ambiez".
Fausto ed io partimmo per questa nuova meta, anche con un suggerimento dell'amico Gino Pisoni. Vista dalla Forcolota di Noghera, la meravigliosa lavagna di calcare norico, si presenta frontalmente e ti incatena lo sguardo.
In due giorni di arrampicata magnifica, realizzammo la nostra prima creazione alpinistica di rilievo. Ricordo il cespo di stelle alpine in una nicchietta in parete e il primo bivacco sotto le stelle del cielo, (alla "bella stella") come fiori astrali, contornati da una pallida e sfumata corolla.
Giungemmo in vetta in una festa di luce, col cuore gonfio di gioia e ci abbracciammo senza dire parole inutili. Nell'immaginario, con gli occhi della mente vedo ancora quel piccolo cespo di stelle vellutate.
Quell'opera ha rappresentato il mio primo amore per quanto concerne le vie nuove che, grazie a Dio, in seguito, mi sarebbe stato concesso di realizzare.

Cima Sud di Pratofiorito. Parete Est
Aste, G.Collini, custode dell'Agostini e Susatti alla base della cima Sud di Pratofiorito
Fausto Susatti

1954 - Punta Civetta. Parete Nord Ovest. "Via per la fessura di destra".

26 - 28 luglio. Con Fausto Susatti.
Attaccammo tardi e ponemmo il primo bivacco alla fine dello zoccolo della parete. La dirittura della via naturale corrispondeva alla goccia cadente, tanto cara a Emilio Comici. Era stato anche il progetto del grande Alvise Andrich, ma poi scelse la obbliqua fessura di sinistra, un itinerario altrettanto bello, addirittura storico. Per la verità lo stesso Andrich aveva, in principio, pensato ai bellissimi diedri di destra, che allora gli parvero più bagnati. Fausto ed io passammo tre giorni indimenticabili su quella parete e per noi fu una escursione in un altro mondo. Ricordo che dopo il secondo giorno di arrampicata, dal nostro posto di bivacco si vedevano le montagne emergere da un mare di nebbie, come sospese nell'aria sotto un cielo terso. Mai avevamo visto una cosa simile, eravamo in un bagno di bellezza. Il terzo giorno giungemmo in vetta che era quasi notte, dopo il superamento dello strapiombo che sbarra l'uscita dall'ultimo diedro su in alto, un passaggio che il grande Philipp definisce il più difficile che lui abbia mai superato. Questo con le salite allora esistenti in parete.
Avevamo aperto una grande via, forse l'itinerario più naturale e più bello di tutta la grande Parete delle Pareti. In seguito, su quella parete sono state fatte tante vie certamente più difficili, come é nella logica delle cose, ma sul piano della bellezza sono un'altra cosa. Questo é il mio pensiero. Al di là del fatto che i primi salitori siano stati Aste e Susatti. Una valutazione che può essere condivisa o meno.

Civetta Parete Nord Ovest. Settore centrale
Punta Civetta parete N. O. Via per la fessura di destra
Punta Civetta parete N. O. Via per la fessura di destra

1955 - Brenta. Cima D'Ambiez. Parete Est. "Via della Concordia".

30 giugno - 1° luglio. Con Angelo Miorandi, Andrea Oggioni e Josve Aiazzi.
Tre vie scavalcano la convessa parete Sud Est della Cima d'Ambiez. La Fox, la Stenico e fra le due, quella che per l'errata interpretazione della guida Castiglioni, io stesso avevo tracciato. Ma non potevano certo avere la presunzione d'avere risolto il problema dell'Ambiez, almeno, il vero, il più grosso. L'invitto era là: il diedro della parete Est, dalla direttiva perfetta. Un unico formidabile a picco di quattrocento metri, senza soste, senza respiro; un susseguirsi conturbante di neri e di gialli.
Il forte Enrich Abram, al ritorno da una via della zona, passando sulla grande cengia basale, levando lo squardo sull'incombente Gran Diedro, disse: "Questa sì che che sarebbe una gran via". Quelle parole mi segnarono dentro. Sapevo che da giorni Oggioni e Aiazzi erano all'Agostini in attesa del bel tempo per attaccare. Ma io ero senza compagno, Susatti si era tagliato un dito durante il suo lavoro di falegname. Fortunatamente Miorandi, uno dei miei allievi di Castel Corno, si offrì di farmi da compagno. Partimmo alla chetichella per il rifugio Agostini. Il primo approccio con i due famosi monzesi non fu proprio cordiale. Poi l'intelligente diplomazia di Aiazzi appianò tutto. Così all'indomani eravamo all'attacco del diedro in due cordate in armonia. Oggioni-Aiazzi e Aste-Miorandi.
Circa a metà parete scoppiò improvviso un temporale. Acqua, qualche turbinio di neve, saette e tanto freddo. Lì ci fermammo a bivaccare anche per asciugare i vestiti impregnati d'acqua. Malgrado tutto io ero tranquillo perché, con i nostri nuovi amici, mi sentivo in una botte di ferro. All'alba io e Miorandi attaccammo gli strapiombi sovrastanti e li superammo in sicurezza, seguiti a ruota da Oggioni e Aiazzi. Giungemmo felicemente in vetta, in una festa di luci e di colori con le vaporose nubi che incensavano il cielo. Firmammo il libro di vetta, chiamando il nostro tracciato "Via della Concordia", un nome che sottolinea la stima, l'amicizia e l'accettazione reciproca che ancora e sempre dura fra noi.

La via della Concordia all'Ambiez
Oggioni, Aiazzi e Aste sulla Cima d'Ambiez
Aste, Miorandi, Aiazzi e Oggioni dopo la via della Concordia

1958 - Pale di San Martino. Punta Chiggiato. Via della parete Nord.

16 - 19 agosto. Con Franco Solina.
La stagione 1958 segnerà per me e per Franco l'inizio delle grandi vie nuove. Pure questa via era già stata tentata da Oggioni e Aiazzi. Per noi é stata una salita abbastanza contrastata. Infatti, da metà parete, sotto la parte più difficile, ci cadde uno zaino con materiale e viveri assolutamente necessari. Fummo riforniti dal basso, un po' scendendo noi e un po' salendo da sotto i nostri provvidenziali sostenitori. Così il terzo giorno potemmo riprendere a salire un diedro giallo estremamente friabile, che io paragono a quello della via Carlesso-Menti alla Valgrande in Civetta. All'uscita dello strapiombo che sbarra il diedro, mi si levò un cuneo e feci un volo a testa in giù nel vuoto, trattenuto da un ottimo chiodo ad "U" che avevo messo in sicurezza. Ma ero rimasto incolume e risalii la corda a braccia. Sopra, feci un'ottima sicurezza con buoni chiodi, e Franco mi raggiunse subito. Lì dovemmo bivaccare in qualche modo. Sbirciando dal sacco da bivacco, le luci di Falcade ci sembravano stelle di un unico firmamento.
Il giorno dopo, sempre con la massima attenzione per la pessima qualità della roccia, salimmo in vetta e scendemmo subito al rifugio Mulaz, accolti con calore dal gestore Silvio Adami e dagli alpinisti presenti. Avevamo fatto una grande via, che non consiglio di ripete per la pericolosità del tracciato.

Punta Chiggiato via della parete Nord
Armando Aste e Franco Solina
Aste in arrampicata negli anni 60

1958 - Marmolada. Anticima del Piz Serauta. Parete Sud. "Via Ezio Polo".

17 - 20 settembre. Con Toni Gross.
Questa fantastica parete era già stata tentata più volte e, ultimamente, da Oggioni e Aiazzi. Era stato l'amico Josve a parlarmene e con lui feci tre tentativi. Poi desistemmo. Ma mi era rimasto il dente avvelenato con il Serauta.
Con un nuovo formidabile compagno di cordata, Toni Gross appunto, di Meida in Val di Fassa, tornai a tentare quell'affascinante problema. Passando da casa sua, dissi a Toni di portarsi un manico di scopa e un piccolo seghetto a mano. Lui rimase sorpreso perché non poteva capire il motivo di quella richiesta. Ma lo sapevo bene io. Nell'ultimo tentativo mi aveva respinto una fessura troppo stretta per entrarci con un braccio e una gamba, ma troppo larga per i cunei. Ci sarebbe voluto un estensore meccanico, ma a me riusciva improponibile un simile artificio. Segai sul posto il manico di scopa a pezzi, che incastrai con attenzione nella fessura strapiombante riuscendo così a piantare un ottimo chiodo all'uscita, che lasciammo per eventuali ripetitori.
Un'opera che, complessivamente, mi ha impegnato per un mese contando i vari tentativi. Quando arrivammo in Valle Ombretta, scendendo dalla forcella a "V", levando lo squardo, mi sentii contento e allo stesso tempo rattristato perchè ora quella parete non poteva più suggerirmi quei pensieri e quei sentimenti di quando era ancora inviolata. Perché l'uomo, ovunque egli passi, rompe un incanto. Per sempre.

Piz Serauta parete dell'Anticima
Toni Gross
Ezio Polo

Vie nuove 1959 - 1960

1959 - Pale di San Martino. Torre del Focobon. Parete Nord.

21 - 22 luglio. Con Josve Aiazzi.
Già l'anno prima, in occasione della salita alla punta Chiggiato,  mi aveva attratto l'evidenza di questo problema. La parete troneggia su tutta l'alta valle del Biois, giù, sino a Falcade, sbarrando a Nord Est la conca del Mulaz. Vera via della "goccia cadente", una fessura perfettamente dritta dalla base al vertice, incide la torre nel suo mezzo. A differenza del Focobon propriamente detto, qui la roccia é saldissima e permette una inebriante arrampicata pressoché "libera". Ad un tiro di corda dall'uscita trovammo un bellissimo terrazzino con fine ghiaino. Il tempo era bello e pensammo di fermarci a bivaccare. Così avremmo risparmiato i soldi per dormire in rifugio. Il giorno dopo scendemmo per la via normale, sull'opposto versante, che fa conoscere a chi é nuovo delle Pale, la segreta e selvaggia bellezza di questo gruppo. A torto trascurato da molti alpinisti (?) che frequentano solo le montagne di moda. Per bellezza e difficoltà tecniche, la pongo sullo stesso piano della via Tissi alla Sud della torre Venezia. Merita di diventare una salita classica.

Torre del Focobon
Torre del Focobon paarete Nord
Aste, Pino Fox e Josve Aiazzi

1959 - Marmolada. Piz Serauta. Direttissima Sud. "Via Madonna Assunta"

10 - 15 agosto. Con Franco Solina.
Con le sue lavagne monolitiche, che cadono a piombo in un susseguirsi per oltre settecento metri di altezza, il Piz invita e respinge al tempo stesso. La via Pisoni, spostata sulla sinistra , seppure grande via, a mio giudizio non risolve il problema del versante d'Ombretta. Ma per quegli anni era il massimo. Claudio Barbier e Marco Dal Bianco, senz'altro due fuoriclasse dell'arrampicamento, hanno compiuto la prima ripetizione di questo elegantissimo itinerario e ne sono rimasti ammirati. Mi inchino dunque davanti a quel formidabile arrampicatore libero degli anni quaranta Gino Pisoni, degno compagno del grandissimo Ettore Castiglioni al quale noi tutti alpinisti, venuti successivamente, dobbiamo molto.
Con l'amico fraterno Franco Solina, direttore della scuola di roccia alla "Ugolini" di Brescia, fummo bloccati, per tre notti e due giorni, in una nicchia a metà della parete. Si fa presto a dire, ma bisogna provarli. Tre notti e due giorni, soli. Si ha tempo di pensare. Di ascoltare e ascoltarsi. Anche se le parole escono monche, si intuiscono le rispettive personalità e ti accorgi con piacere delle molte affinità. Riconosci in lui, nell'amico, tante cose che tu non hai e che vorresti avere. Ti senti impulsivamente grato a lui di possederle anche per te. E ringrazi il cielo che ti ha fatto incontrare un simile compagno di avventura. Con Franco non ho problemi di sorta, sento di andare sul sicuro, di poter contare su delle certezze.
Giungemmo in vetta al Piz solo dopo una settimana di permanenza in parete il 15 agosto, festa appunto dell'Assunta. Penso, in buona fede e con l'esperienza che ho, sia una via di difficoltà superiore a tutte quelle che, finora "fanno da metro" nelle Dolomiti. Ovvio con mezzi tradizionali, non solo nei passaggi artificiali, ma, soprattutto, ai tratti in libera, maltempo a parte.

Monte Serauta, Piz Serauta e Anticima
Via Madonna Assunta con varianti
Maestri lavandaio

1959 - Crozzon di Brenta. Gran Diedro Nord, "Via Giulio Gabrielli"

25 - 27 agosto. Con Milo Navasa.
Avevo sentito parlare spesso di questo problema, però, per un motivo o per l'altro, non l'avevo mai studiato a fondo. Dato che momentaneamente ero senza compagno stavo valutando la possibilità di una solitaria, allorché l'amico Bruno Detassis mi fece conoscere un valente alpinista di Verona: Milo Navasa. Breve dialogo, poi giù a preparare febbribelmente quanto avrebbe potuto servire nel "diedro" che assieme avremmo attaccato l'indomani.
In tre giorni di lotta, confortati dal tempo magnifico, riuscimmo ad aprire la nostra via che dedicammo alla memoria del povero Giulio Gabrielli deceduto, nel 1959 lungo la via Soldà in Marmolada, in condizioni particolarmente sfortunate in seguito ad una fortissima nevicata.
Indimenticabile rimarrà in me la romantica notte, nell'alto silenzio del bivacco Castiglioni, sulla vetta del Crozzon. E la cavalcata fantastica, fino alla Tosa, tra le nebbie evanescenti. Dal punto di vista tecnico, penso che questa ascensione assomma sostenute difficoltà tecniche, sia in "artificiale" sia in "libera".
Sul libro di vetta, come commento, scrivemmo queste poche parole: "Gloria Tibi Domine!".

Il Crozzon di Brenta
Il Crozzon con la via Gabrielli
In alto il gran diedro
Navasa al bivacco Castiglioni
Aste, Detassis e Navasa dopo la Gabrielli
Giulio Gabrielli

1960 - Marmolada. Anticima del Serauta. Variante Direttissima.

17 - 19 giugno. Con Milo Navasa.
Ancora al tempo della prima ascensione di questa superba parete (via Ezio Polo), 17-20 settembre '58 , pensavo alla variante diretta. Infatti lassù con l'amico Toni, avevo deviato dalla naturale traccia del diedro. Ci sarebbero voluti i chiodi ad espansione e a noi, allora, ripugnava violare simili verginità usando mezzi che non fossero tradizionali. Così dal punto di vista estetico, l'opera rimase incompiuta. Mi si perdoni l'immodesta, ma il desiderio di tracciare per primo la "goccia cadente", su quella lavagna da giganti, era ormai cosa mia. Così, non stetti più a disquisire sui nuovi mezzi artificiali. Con la tenacia e con l'amore con i quali un artista scolpisce la sua opera, tornai lassù con l'amico Milo per il "ritocco". Ora l'opera é compiuta. Rimarrà muta testimone di un accanito assalto al cielo. Condotto da piccoli, ma non presto arrendevoli uomini.

Il Serauta d'inverno
Aste sulla direttissima al Piz Serauta
Aste con Navasa

1960 - Alpi Marittime Orientali. Marguareis. Punta Oreste Gastone.

Estate. Con Armando Biancardi.
Rivedo i paretoni della catena del Marguareis, ceneretola reginetta delle marittime orientali, paretoni che si specchiano con i loro toni freddi e caldi insieme nel laghetto. E, su quella "sinfonia" giallo-grigio-rossastra con aspetti dolomitici, via a perdita d'occhio per cinque chilometri in lunghezza, "note" che si alzano, con pareti a piombo, per più di seicento metri. Questa é la montagna dell'altro Armando, di Armando Biancardi. Lassù, al rifugio Garelli, uno di quei rifugietti che erano ancora così come dovrebbero: dove non c'era custode e, per entrarci, bisognava prelevare la chiave a fondovalle. Lassù, dove la vita aveva un sano sapore arcaico, e nessuno veniva a turbare il vostro "ritiro", abbiamo vissuto giorni indimenticabili. Su quelle rocce, non prive di pericoli per la loro friabilità, abbiamo aperto alcune belle vie: al pilastro della Oreste Gastone, allo spigolo Tino Prato (con un bivacco). Vie sostenute, di quinto e di sesto, che hanno arricchito il bagaglio dell'amico. Un bagaglio cospicuo, se oltre a circa seicento ripetizioni sull'intera cerchia alpina, dalle Marittime alle Dolomiti con "invernali", salite su ghiaccio, sci-alpinistiche, e un bel pizzico di "quattromila", conta qualcosa come sessantotto prime ascensioni, di cui alcune da "solo" e da "capo-cordata" e di cui non poche di difficoltà estrema.

Aste sulla punta oreste Gastone
Aste sul passaggio delle tre vie
Armando Biancardi

1960 - Pale di San Martino - Spiz d'Agner Nord - Spigolo N.O. "Via Fausto Susatti".

22 - 24 agosto. Con Josve Aiazzi e Franco Solina.
Era una promessa fatta a me stesso: dedicare una grande via alla memoria del mio primo grande compagno di scalate Fausto Susatti. Ci voleva però una via degna di Lui, un itinerario come Egli lo avrebbe voluto. Così pensai ai formidabili picchi dominanti la remota valle di San Lucano, a pochi chilometri da Agordo, nel Bellunese. Così, il pensiero si rivolse allo Spiz d'Agner Nord. Esso rivolge verso valle due affascinanti spigoli di pari bellezza e difficoltà. Con Josve e Franco, scegliemmo lo spigolo di destra. Bellissimo itinerario, roccia magnifica, parallelo alla via Gilberti sul monte Agner. Uno sviluppo di oltre mille metri, con qualche tratto di "sesto" in ambiente severo e selvaggio. Fummo accompagnati da tempo ideale. Due bivacchi in parete ed uno, indimenticabile, in vetta. Penso che Fausto fosse con noi. Perché, se le anime non si incontrano sulle vette, non si incontrano in nessun altro posto.

Lo Spiz d'Agner Nord
Spiz d'Agner Nord la via Susatti
Aste sulla via Susatti
Aste sulla via Susatti
Fausto Susatti
Franco Solina e Armando Aste

Vie nuove 1961 - 1968

1961 - Catinaccio. Cima dei Mugoni. Spigolo Sud Est

8 - 11 luglio. Con Marino Stenico.
Passando sul sentiero che, da sotto la Parete dei Mugoni, porta alla forcella che immette in Val Gardeccia, mi sorprese l'aereo Spigolo Nord Est di quella cima torreggiante. Molto pericoloso per l'estrema friabilità della roccia. Un primo tentativo finì male perché ero stato colpito alla spalla da un sasso.
I quotidiani avevano parlato ampiamente di questa scalata nella quale, a comando alterno, eravamo impegnati Marino Stenico ed io. Salita acrobatica e di interesse puramente accademico. Da "Adige", riporto uno stralcio che mi pare illustri bene l'ambiente. "La cima dei Mugoni, enorme monolito di Dolomia principale, senza stratificazioni e con poche oblique fessure, si alza massiccia dal suo piedestallo di ghiaie. Essa si trova ad Est dell'ormai famosa Roda di Vael e quasi alla testata della Busa del Vaiolon. Pur rimanendo incorporato da un lato, sul versante Sud si stacca un grosso torrione quadrangolare di circa trecento metri. Nel punto di contatto del massiccio principale, prendono forma due diedri vertiginosi: il diedro Est, percorso dalla via Vinatzer, e il diedro Sud aperto dalle “mani da strapiombi” del grande Bepi De Francesch. Tra le due vie si staglia diritto, aereo, impressionante, lo spigolo Sud Est...".
Lì era salito il nostro sguardo alla ricerca di un intinerario. "Dove una volontà, là una via...". Abbiamo voluto dedicare quest'impresa a due amici tragicamente scomparsi: Piergiorgio Nichelatti e Filippo Berti. Il primo, ex presidente del gruppo "boci" della SAT di Trento; il secondo, un appassionato arrampicatore rimasto vittima d'un fulmine sulla Dibona alla Roda di Vael.

Pilastro dei Mugoni. Spigolo Sud Est
Marino Stenico in sosta sul pilastro dei Mugoni
Stenico sul pilastro dei Mugoni

1961 - Alpi Marittime. Marguareis. "Via Tino Prato"

22 - 23 luglio. Con Armando Biancardi.
Dell'amico Armando Biancardi ho già detto del suo notevole bagaglio alpinistico parlando della via alla Punta Oreste Gastone. Ma il suo maggiore titolo alpinistico é quello di aver aperto quasi tutte le vie al Marguareis, ripetendo la altre poche, nessuna esclusa. Si sente spesso parlare di "innamorati" della montagna che vivono per essa. L'altro Armando era uno di questi. Ma egli non era né solo uno sportivo né solo un intellettuale. Ma l'uno e l'altro allo stesso tempo. Per questo, accanto all'azione alpinistica, a sua ispirazione, può vantare qualcosa come più di mille articoli su temi legati alla montagna e all’alpinismo. Ha diretto tre periodici (Sucai, Il frondista, Commercio) e dato alle stampe cinque volumi: La voce delle altezze (1956), Cento anni di alpinismo torinese (1963), Venticinque alpinisti scrittori (1989), Racconti impossibili e dintorni (1994), Il perché dell’alpinismo (1995). Ha ricevuto 20 riconoscimenti letterari in campo nazionale e internazionale fra cui due Saint-Vincent, i premi Chamonix e Cortina. Nel 1995 i delegati del Cai riuniti a Cuneo gli hanno assegnato una medaglia d’oro. È stato accademico degli scrittori di montagna (GISM).
Per questo poderoso insieme, e delle "prime" e della parte culturale, io lo considero un "maestro". Da lui ho imparato e continuo a imparare moltissimo.

Marguareis. Via Tino Prato
Aste sul Marguareis
Armando Biancardi

1961 - Pale di San Martino. Spiz D'Agner Nord. "Via Andrea Oggioni"

4 - 5 agosto. Con Franco Solina e Angelo Miorandi.
Dopo la salita dello spigolo di destra questa cima selvaggia presentava un altro problema, forse ancora più difficile, certamente più affascinante: lo spigolo di sinistra. Lo avevo tentato una volta da solo, con due bivacci: uno all'attacco, l'altro a metà spigolo. Ero salito sul "filo del rasoio", forse in un momento poco felice. Fino a che ad un certo punto ebbi paura. Era quel silenzio sepolcrale che aveva influito negativamente sull'animo? Forse, stavo perdendo davvero il senso della misura. Dov'é il punto limite? Ci abituiamo a chiedere a noi stessi sempre di più, fino a quando? Umiliato, sconfitto, annientato, scesi un po' arrampicando e un po' in "doppie".
Tornai in compagnia di Franco ed Angelino. Con due bivacchi, uno alla base e uno a metà, là dove mi ero già fermato, riuscimmo in vetta. Ottocento metri, su roccia compattissima, con estreme difficoltà in "libera". Dedicammo al povero Andrea Oggioni questa grande via. E pensammo che con Fausto si trovasse bene lassù. Da una parte Oggioni, dall'altra Susatti. Un primo e un secondo di corda. Una cordata formidabile impegnata nella scalata al cielo. Su uno dei più bei pilastri della ineguagliabile navata dolomitica.

Spiz d'Agner. Spigolo Nord Est. Via Oggioni
Franco Solina sulla via Oggioni
Andrea Oggioni

1961 - Brenta. Campanil Basso. Parete Ovest dello Spallone. "Via Rovereto"

10 - 11 settembre. Con Angelo Miorandi.
Nel settembre del 1961 mi trovavo al rifugio Brentei e parlando con il re del Brenta, Bruno Detassis, gli chiesi che mi indicasse qualche bella via da fare. "Va a far l'Ovest del Spalon del Bas", mi disse. Io lo presi subito in parola.
Telefonai all'allora presidente della SAT di Rovereto, Bruno Bini, tra l'altro datore di lavoro di Angelo Miorandi, che gli concedesse il permesso di raggiungermi su al Brentei. Infatti il mio amico Camillo Gaifas, che era il cognato di Bruno, il giorno dopo, mi raggiungeva, con Angelo. Il giorno seguente attaccammo la Ovest dello Spallone del Campanil Basso, una parete di ottima roccia sulla quale tracciammo un bell'itinerario che chiamammo "Via Rovereto". Un bel nome per una salita stupenda, con un bivacco e con grandi difficoltà in arrampicata libera.
Mi piace ricordare che, dopo la salita, a notte inoltrata, al Brentei, Bruno era lì che ci aspettava, preparandoci un buon the caldo e un sorprendente grappolo d'uva. Disse semplicemente: "Magné".

Il Campanil Basso e il Campanil Alto
Lo spallone del Campanil Basso
LA via Rovereto sullo spallone del Campanil Basso
Aste sulla Via Rovereto
Miorandi sulla Via Rovereto
Miorandi in bivacco sulla via Rovereto

1962 - Brenta. Cima Tosa. Parete Ovest. "Via città di Brescia"

6 settembre. Nel 1962 dopo la prima salita italiana alla parete Nord dell'Eiger, che é stata inserita, data la sua rilevanza, nelle spedizioni, con Franco aprimmo una bella via sulla parete Ovest della Cima Tosa, alla testata della Vedretta dei Camosci. La chiamammo "Via città di Brescia", in omaggio al mio amico Franco, che é appunto di Brescia, la "Leonessa d'Italia".

Cima Tosa da Ovest
Cima Tosa, la via città di Brescia
Franco Solina

1964 - Marmolada d'Ombretta. Parete Sud. "Via dell'Ideale"

24-29 agosto. Con Franco Solina.
Salendo al passo d'ombretta dal rifugio Contrin nell'estate del 1954, avevamo visto di scorcio la convessa parete d'argento della Marmolada d'Ombretta, segnata da una lunga linea scura che indicava una via ideale.
Dovetti aspettare dieci anni per sentirmi maturo per quell'impresa con Franco Solina. Intanto, la lunga riga che incide il centro della parete, era rimasta intoccabile. Perché quella si preannunciava un passo avanti alle salite dei mostri sacri di quel tempo. Lunedì 24 agosto 1964 siamo all'attacco della via dell'Ideale, un capolavoro che ha segnato il grande alpinismo moderno in Marmolada. Quando Franco Solina ed io aprimmo quella grande via, sui circa quattro chilometri di parete, da forcella Marmolada al Serauta, esistevano complessivamente sette itinerari. Oggi, fra vie, viette, fessure, placche e camini, siamo arrivati a centocinquanta itinerari. Che pena! La più grande parete di roccia delle alpi, la regina delle Dolomiti, declassata a palestra, magari la più grande palestra del mondo. Eppure sulle montagne della terra ci sono infinite possibilità per appagare l'ambizione ed ogni orgoglio più personale. Ma é destino, purtroppo, che l'uomo, ovunque egli passi, abbia a lasciare la traccia di un incanto svanito. Rotto per sempre. E' questo il rimpianto che ci é rimasto dentro in seguito a quella salita, perché a questo mondo niente é perfetto.
Ad ogni modo, la nostra creazione resta una pietra miliare nella storia dell'alpinismo dolomitico, sulla parete d'argento della Marmolada d'Ombretta. Malgrado le ripetizioni in tempi eccezionali, le invernali, le solitarie, la via dell'Ideale rimarrà l'opera d'arte di Aste e Solina.
Di quella nostra salita, unica per bellezza, qualità della roccia, interesse storico per la celebrità della montagna e per il tempo magnifico che ha accompagnato la nostra ascensione, di quell'opera d'arte alpinistica, ricordo le spruzzate d'acqua polverizzate dal vento, che, viste controluce, sembravano polvere di stelle. Allora la via dell'Ideale l'avevo qualificata la più bella salita di roccia pura delle Alpi.
Nella grotta del penultimo bivacco lasciammo, in una bottiglia vuota, un biglietto con queste parole: "Nel nome del Signore, 28 agosto 1964. Questa é la via dell'Ideale. Auguri ai ripetitori".

Marmolada. Parete Sud. Via dell'Ideale (riga scura).
Via dell'Ideale. Parete Sud della Marmolada.
Via dell'Ideale (riga scura in centro) vista da sotto
Via dell'Ideale. Aste e Solina sul pilastro d'attacco.
In doppia sulla via dell'Ideale
Via della canna d'organo e via dell'Ideale (riga scura in centro)

1965 - Marmolada di Rocca. Parete Sud. "Via Canna d'Organo"

13 - 18 agosto. Con Franco Solina.
Fra la Punta Rocca e la Marmolada d'Ombretta una serie di torri orlano la cresta della montagna. Dal rifugio Falier si vede stagliarsi nettissimo un caratteristico campanile, simile a una canna d'organo con un precipite strapiombante spigolone.
Avevamo studiato minuziosamente le molte fotografie prese. Lo scorso anno, tracciando la "Via dell'Ideale", avevamo avuto modo di scoprire altri preziosi particolari e fissarci ancora più nella nostra decisione: aprire la "Via della Canna d'Organo".
Abbiamo lottato con i denti per attrezzare una costola fessurata sulla faccia destra del colatoio. Pioggia, grandine, poi anche la neve. E' inutile ormai. Dovremo bivaccare ancora in questo inferno di pareti dai riflessi sinistri. Lucide d'acqua e foderate, a tratti, da colate e grappoli di mostruose stalattiti di ghiaccio.
Siamo rannicchiati sotto una sporgenza arrotondata. Non c'è la possibilità di indossare i sacchi da bivacco. Le giacche a vento sono inzuppate; pensiamo che é meglio levarle. Il frastuono della cascata che passa ad un metro da noi diventa di minuto in minuto più insopportabile. Saremo capaci di resistere fino ai primi albori?
L'acqua batte, cade, gorgoglia, schizza, rimbalza. Assume voci e rumori sempre diversi e contrastanti. Assordanti e gentili. Mostruosi. Struggenti. Ora voci sconosciute eppure amiche mi chiamano. Ecco sì, distintamente, le voci dei miei cari. La voce di mio padre che dice sempre: "Valà, sta a casa che l'è mèio". Quella di mia madre che è inquieta, addolorata, implorante. Quasi disperata. Mia madre. Mai ho pensato tanto a lei come ora.
Con gli occhi sbarrati stiamo a sperare che il volume d'acqua diminuisca, che il frastuono si vada smorzando.
Il tempo sembra essersi fermato. Mi dolgono terribilmente le ginocchia per la forzata innaturale posizione, mi duole la spalla lussata. Credevo di saperne abbastanza, ormai, di bivacchi, ma questo, il centesimo, è veramente tremendo. Quanto tempo è passato?
Intanto la canna d'organo suona ancora, suona sempre, seppure con minore intensità, ora. Arriva il tanto sospirato mattino e quasi per magia la parete si apre a tratti e mostra strappi di cielo azzurro. Saliamo ora sempre più penosamente, seppure su difficoltà decrescenti a mano a mano che la pendenza addolcisce. Ormai la volontà è in disarmo: sentiamo prossima la meta.
Credo di non avere mai desiderato come ora il calore del sole, la luce, la fine di una salita. Franco un'ultima volta mi raggiunge con l'impossibile carico di roba e ferramenta tintinnante e prima ancora di riprendere fiato, mi stringe con le sue forti braccia in un muto amplesso. Con una incrinatura di commozione nella voce dice una cosa bellissima: "E' meglio che siamo qui soli, Armando".
Sullo sfondo, alcune cordate salgono nel sole la "schiena di mulo" della Punta Penìa. Sono le dieci del diciotto agosto '65.

Marmolada di Rocca. La parete della Canna d'Organo
Via della Canna d'Organo.
La parete della Canna d'Organo vista da sotto.
La Canna d'Organo.
Aste in un passaggio impegnativo.
Aste in bivacco.

1968 - Civetta. Anticipa Nord della Busazza. Parete Ovest. "Via Angelo Bozzetti"

12 - 13 luglio. Con Josve Aiazzi.
Dopo le ripetizioni, per "allenamento", della via Paolo VI al Pilastro della Tofana di Rozes e lo Spigolo degli Scoiattoli sulla cima Ovest di Lavaredo, sempre con Aiazzi, facemmo una bella "prima" sulla parete Ovest dell'Anticima Nord della Busazza. Una sparata di ottocento metri che dedicammo alla memoria di Angelo Bozzetti di Aosta.
Durante la salita mi imbattei in una piccola zolla di fiorellini bianchi e volli prenderne qualcuno. "Non strapparli tutti", mi disse Josve. Ne colsi solo tre che poi mandai alla vedova del povero Angelo ed alla figlia, perchè le parlassero del loro grande marito e papà. Angelo Bozzetti, guida alpina della società della Valpelline, l'avevo conosciuto quando con Franco Solina avevo tentato lo Sperone Cassin alle Grandes Jorasses. Ricordo che, dopo un bivacco alla fessura Allein, flagellati dalla tempesta che rivestì tutta la parete di una corazza di ghiaccio, scendemmo a corde doppie sotto continui scarichi della parete.