"Quello che ho scelto di raccontare nei miei libri sono valori più importanti dei risultati alpinistici.”
Aste con Olivetti lettera 32

I primi tre volumi sono testi d’introspezione prima che diari di imprese.
Pilastri del Cielo (Riverdito Editore, novembre 1975).
Cuore di Roccia (Manfrini Editori, gennaio 1988);
Pilastri del Cielo (Nordpress, 1^ ed. giugno 2000, 2^ ed. maggio 2006).
Alpinismo Epistolare - Testimonianze; (Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2011;
Commiato - Riflessioni conclusive di un alpinista dilettante in congedo; (Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2013;
Nella luce dei monti - Pensieri e sguardi d'insieme (Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2015;
Stagioni della mia vita (Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2016;
L'Angelina" - Vita agresta di un tempo lontano (Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2017. Pubblicato postumo.

Pilastri del Cielo - 1975

Img: Pilastri del Cielo Reverdito Reverdito Editore, Trento, novembre 1975, pagine 303

Libro raro e introvabile.

Pilastri del Cielo è opera autobiografica di un sestogradista con brevi digressioni e meditazioni corredato da una ricca collezione di immagini fotografiche.
In questo volune Aste racconta la sua vita, fatta di resistenza al sacrificio e grandi episodi di solidarietà, di impegno religioso e profondo rispetto per i valori umani, a partire dall'amizizia.

Introduzione di Giovanni Spagnolli, Presidente del Senato, Presidente Generale del C.A.I.

Per molti ragazzi, nati poveri, la scoperta della ricchezza ha significato l'abbandono dei propri paesi, della terra più cara, quasi della propria natura.
Venuti su a polenta e fagioli, nella miseria dei villaggi alpini, essi come i ruscelli, sono discesi verso le pianure. Confusi nei fiumi si sono annientati nel mare.
Per Armando Aste, la ricchezza è fiorita lì dove era nato. Fatta non di oggetti di consumo o di soldi. Bensì di cime inesplorate, bivacchi difficili, imprese leggendarie, boschi innevati, lo splendido assieme di una esistenza da alpinista.
Egli come tanti avrebbe potuto abbandonare la montagna. Ha invece preferito, come i pochi, scoprirla, conoscerla. Dedicare alla montagna una vita che oggi, racconta in questo libro-confessione, si rivela come una vita ben spesa, una vita preziosa.
Operaio, sindacalista, attento dunque alle vicende quotidiane, Armando Aste, anzichè discendere, fin da ragazzo ha preferito salire. Non perchè egli amasse evadere nei sogni o negli splendidi isolamenti. Bensì per trovare un'alternativa alle chiamate troppo facili o comuni.
Cima dopo cima, chiodo dietro chiodo, egli ha così camminato sulle pieghe della terra, imparando ad amare il calore del sole, a temere la pioggia e le bufere, ad ammirare le stelle alpine, ad avvicinare i grandi rapaci dell'aria. Ha insomma riavvicinato il "fisico" dell'uomo a quanto di primitivo, di puro, di non artefatto c'è ancora nel mondo. Soprattutto, però, ha riflettuto e discorso con l'anima. E questo libro, degnissimo, è punteggiato, tra i resoconti delle imprese, di quei pensieri che compongono la saggezza dell'alpinista.
Se il rapporto uomo-montagna appare infatti superficialmente "esterno", per la rude bellezza di ciò che si prova aggrappando la roccia umida o che si vede una volta giunti alle mete, per Armando Aste niente sta al paragone dell'armonia spirituale che si prova.
Egli chiama le sue avventure "ascensioni". E al termine di questa ascesa, fatta di preghiere, incitamenti, anche invocazioni, ecco che lo sfiorano il desiderio alla perfezione e la passione di Dio.
Se la vittoria ha dunque un suono, se le grida degli alpinisti di una cordata che giunge in vetta si innalzano forti e gioiose, esistono anche, là dove si giunge, il bisbigliare di un ringraziamento e il silenzio della meditazione. Solo così, avverte questo nostro scrittore, l'impresa è compiuta. Ci si sente pieni.
Ma gli alpinisti rimangono uomini. Pagina dietro pagina, a fianco della descrizione delle vittorie, Armando Aste, segna, obiettivamente, anche le sconfitte. Là dove egli non è riuscito, come sulla "Torre dell'Amicizia", così dove egli è riuscito, come sul Paine o nella orgogliosa salita dell'Eiger, c'è sempre la sincera cronaca delle fatiche sopportate, delle speranze vissute, di ciò che si assapora, di dolcissimo o di amaro, scalando.

Questo libro non è dunque una chiacchierata, una di quelle chiacchierate alla moda che si fanno nei rifugi di lusso, tra fuochi schioppettanti e mense imbandite. Non è il cicalare di chi vuole la medaglia dell'altrui elegio.
E' invece un dialogo maturo, a volte anche aspro, rivolto a diverse generazioni di alpinisti e non. Chiamati ad ascoltarlo non per cercare solo i piaceri e le glorie che può dare uno sport; bensì per apprendere una attitudine, quella allo scalare, che richiede coi muscoli d'acciaio e il cervello pronto, anche un sentire affinato, rivolto, come scrive l'autore, alla conoscenza come valore e come scopo.
Questo libro, che ha il significato di un documento tanto è rigoroso nel riportare la vicenda alpina degli uomini che vi compaiono, si mostra utile e raccomandabile. Non solo per coloro che vanno in montagna attratti dalle sue bellezze. Anche per coloro che cercano nella vita identità più vere.

Fa sempre un gran bene, infatti, leggere che altri uomini, nostri amici o conoscenti o semplici sconosciuti, mentre noi siamo presi da mille affanni, dedicano tanta energia per esplorare ciò che è fuori, gigantesco e superbo, e ciò che è dentro ad ognuno , desiderio di pace, di fratellanza, di verità.

Cuore di roccia - 1988

cuore di roccia 240x300 Manfrini Editori, Calliano (Trento), gennaio 1988, pagine 282.

Libro raro e introvabile.

Presentazione di Cesare Maestri.

Armando è nato a Rovereto ed io a Trento, abitavamo a pochi chilometri di distanza, frequentavamo le stesse montagne, gli stessi rifugi, le stesse palestre di roccia eppure per tanti anni ci siamo guardati con una certa diffidenza, come due animali selvatici che si annuassero guardinghi. Questa circospezione derivava in parte da preconcetti campanilistici che alimentavano gli attriti fra le due città, e in parte perchè Armando fin da allora era profondamente credente e io rigidamente ateo e questo, per due giovani intransigenti, settati e rogogliosi, era un empasse molto difficile da superare.
Ovviamente la passione per la montagna avrebbe potuto essere un punto d'incontro ma purtroppo praticavamo due forme di alpinismo diverse nella tecnica e nel concetto. Ci rimaneva in comune la pratica dell'alpinismo solitario che Armando affrontava carico di dubbi tecnici e religiosi e io carico di dubbi tecnici e sociali.
Abbastanza sicuri nella valutazione tecnico-atletica, ogni qualvolta stavamo per affrontare da soli pareti di estrema difficoltà, entrambi ci tormentavamo con problemi morali, sociali ed etici. Armando, prima di ogni arrampicata solitaria chiedeva al suo confessore se fosse giusto rischiare la vita e quella degli eventuali soccorritori per soddisfare il proprio orgoglio e la propria ambizione.
Io mi chiedevo se per gli stessi motivi fosse giusto rischiare di mettermi nei guai coinvolgendo così gli uomini del soccorso alpino che loro malgrado avrebbero dovuto rischiare la vita per un mio errore di valutazione.
Così per tanti anni le nostre vite hanno corso parallele avvicinandosi e allontanandosi secondo la successione dei fatti e a ogni avvicinamento l'uno ogni volta di più ammirava dell'altro l'impegno sociale, la coerenza, l'idealismo, il rispetto per la vita altrui e per la propria. Eravamo come due fiumi che scorrevano affiancati senza mai incontrarsi.
Con il passare degli anni Armando accumulava successi dopo successi: Brente, Marmolada, Civetta, Pale di San Martino, Lavaredo, il terribile Eiger, le impervie vette della Patagonia e il riconoscimento a questi successi invece di inorgoglirlo rinfronzava in lui il rispetto che aveva sempre avuto verso i problemi sociali affrontati con impegno cristiano attraverso il quale cercava di "dare un senso alla vita" perchè, come scriveva Edgar Lee Master "una vita senza senso é la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio, é una barca che anela al mare eppur lo teme".
Leggendo "Cuore di roccia" tutto questo risulta chiaro e una volta di più, attraverso una testimonianza diretta, riscopriamo quanta fatica è essere Uomini, come è difficile realizzarsi senza accettare compromessi, come è difficile restare vivi e invecchiare.
Nel suo libro Armando racconta la sua vita e la montagna diventa un pertugio per sfuggire al grigiore della monotona routine quotidiana e l'alpinismo un mezzo per "Essere" e non certo per "Avere" e così fedele a questo principio Armando rafforza la resistenza al sacrificio, l'impegno religioso, il rispetto per i valori umani, il senso dell'amicizia, doti queste che gli sono servite per affrontare con esemplare dignità la sua non facile vita.
E' passato tanto tempo dalla prma volta che ho incontrato Armando e il tempo si sa è modellatore inarrestabile e così anno dopo anno, impresa dopo impresa abbiamo cominciatoa conoscerci, a stimarci, a trovare altri punti di incontro che non fossero quelli ovvi d'interesse alpinistico. Così dopo trent'anni, quando Armando mi ha chiesto di scrivere queste poche righe, mi sono sentito onorato e commosso e ho capito che i fiumi della nostra vita stavano per sfociare allo stesso amre. E malgrado la diversa acidità delle acque, malgrado la diversa temperatura e malgrado il diverso colore stavano per amalgamarsi in un unico mare perchè gli uomini di buona volontà, sia pure per strade diverse, vanno tutti verso una unica meta.

Pilastri del Cielo Nordpress - 2000

pilastri del cielo nordpress Nordpress Edizioni. Prima edizione giugno 2000, pagine 290. Seconda edizione maggio 2006, pagine 333.

Libro quasi introvabile.

Pilastri del Cielo, raccoglie in sè un'interessante autobiografia, il racconto di "epiche" ed "eroiche" imprese alpine, la storia degli uomini che quelle imprese hanno compiuto, una sintetica guida per chi, quelle imprese, volesse ripetere.

In questo volume, l'alpinista cattolico, Armando Aste racconta la sua vita fatta di resistenza al sacrificio e grandi episodi di solidarietà, di impegno religioso e profondo rispetto per i valori umani, a partire dall'amicizia.

Una nuova veste grafica, una nuovissima e copiosa documentazione fotografica, la rivisitazione di gran parte dei testi e l'aggiunta di inediti contribuiscono ad attualizzare l'opera.
Il Brenta, la Marmolada, il Civetta, le Pale di San Martino, Lavaredo, il terribile Eiger, le cime impervie e sconosciute della lontana Patagonia.
Un lungo racconto di montagna ricco di avvincenti episodi e di altissimo valore morale.
La montagna intesa come mezzo per sfuggire al grigiore monotono del quotidiano.

L'Alpinismo come mezzo per "Essere" e non certo per "Avere".

Alpinismo Epistolare - 2011

cuore di roccia 240x300 Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2011.

Presentazione di Bepi Pellegrinon.

Fratello Armando.
Già alla fine degli anni Cinquanta, periodo dei miei primi approcci alle montagne, il nome dell’alpinista Armando Aste era spesso citato dai miei compagni di allora (Toni Serafini in primis), perché autore di due belle “prime” su altrettante repulsive pareti dei nostri monti - il gruppo di Focobón - che alte sulla Valle del Bióis dominano e allo stesso tempo conferiscono una particolare solennità all’ambiente.
Aste era già allora un nostro mito.
Lo conobbi nel 1961, in occasione del Festival della Montagna di Trento, andando personalmente a trovarlo a Rovereto dapprima a casa, ove fui accolto dalla sua cara mamma, e dirottato poi alla famosa Manifattura ove Armando si guadagnava il pane.
L’anno successivo avevo già ripetuto con il belga Claudio Barbier la sua via alla Torre di Focobón e tentato inutilmente, con un bivacco sulla cengia, gli strapiombi della Punta Chiggiato. Claudio non se la sentì di proseguire lungo la fessura e i tetti della parte superiore della parete perché estremamente marcia e friabile (anche Oggioni e Aiazzi nel 1955, primi a metterci le mani in uno storico tentativo, constatarono l’alto grado di rischio che la salita offriva).
Negli anni che seguirono continuai a “inseguire” Aste ripetendo alcune delle tante vie che aveva realizzato. Debbo necessariamente menzionare quella della parete nord-ovest della Punta Civetta, con quel passaggio nella fessura finale che giustamente è reputato come uno dei più difficili mai realizzati in arrampicata libera.
Avevo ormai da tempo cominciato ad apprezzare e amare l’alpinista trentino. Egli era diventato un primattore, una stella di infinita grandezza, col suo inconfondibile stile fatto di forza e prudenza e con la sua personalità di amore, modestia, altruismo, disponibilità: un esempio. Questi valori hanno rappresentato il completamento di un excursus alpinistico attento non solo alla pratica atletica della sfida col monte, ma anche carico di motivazioni ideali. Di lui poi apprezzavo, senza gelosia alcuna, il grande amore per le “mie” montagne dell’Agordino, sentimento che sicuramente è stato ricambiato sia dall’ambiente naturale che dalle tante persone di queste vallate che con lui hanno intessuto rapporti e amicizie.
Col tempo Armando Aste è diventato una leggenda. Spesso, con amici più “laici” di lui, abbiamo sorriso di fronte alla ostentata religiosità del suo impegno, della sua vicenda personale. Solo col passare degli anni ci siamo resi conto invece che la sua testimonianza umana ha illuminato anche il nostro vivere, tanto da sentirlo come un vero fratello.
La storia dell’alpinismo è fatta non solo di imprese e di rapporti fra gli uomini. Ci sono infinite sfaccettature che precedono e seguono le salite sui monti. E c’è il dovere di salvaguardare il bene più prezioso di cui disponiamo: la vita, che è la prima esemplare “lezione” impartitaci senza presunzione da Armando nel suo salire verso l’alto, alla ricerca della “meta ideale”.
Anche con questo libro, che è un po’ la sintesi di una vita trascorsa fra affetti famigliari, montagne e fede, o meglio ancora una sorta di “testamento spirituale” amorevolmente sollecitato e condiviso dalla sua adorata Nedda, Armando riesce a stupirci per il suo rigore morale e per la sua generosa umanità.
E’ un libro diverso dai suoi due precedenti (Cuore di roccia e Pilastri del cielo, che tanta gente hanno contribuito ad avvicinare ai monti): composto e scritto a più mani, con documenti inediti e testimonianze varie, con un apparato iconografico di assoluto rilievo. Emergono rapporti fra alpinisti, talvolta polemiche, incontri nella vita e sulla montagna, ricordi. Essi accompagnano il fluire della vita di un grande alpinista che ha avuto un ruolo importante nell’alpinismo della seconda metà del Novecento, prima dei free-climbing, delle palestre sulle piazze e delle tante innovazioni sopraggiunte.
E’ stata, quella, l’epoca delle direttissime, delle solitarie, delle invernali, ma è stato pure un percorso umano segnato dal bene e dalla solidarietà, che ha guardato soprattutto ai valori dello spirito.
Per questo, alla vigilia del suo ottantaseiesimo genetliaco, ci stringiamo ad Armando con un fraterno e riconoscente abbraccio.

Recensione di Italo Zandonella Callegher, da MountainBlog 12 febbraio 2012

È uscito in questi giorni un libro tanto strano quanto interessante. Strano già nel titolo: “Armando Aste, alpinismo epistolare”; interessante nel contenuto davvero fuori dalla norma.
Si tratta, infatti, di un volume unico del genere, raffinato, ricco, 355 pagine, con un’infinità di foto, riproduzioni di lettere, cartoline, biglietti e ricordi di ogni tipo.
Un omaggio che gli amici della Nuovi Sentieri Editore di Belluno (leggi Bepi Pellegrinon, alpinista accademico, scrittore, editore, leggendario artefice dell’ “Archivio per la Storia dell’Alpinismo Dolomitico” e il suo “assistente” Loris Santomaso) hanno voluto tributare a un grande dell’alpinismo italiano.
Le pagine scritte da Armando, in verità, sono poche; una premessa minima, una pagina particolare, commovente e romantica, dedicata, come tutto il libro, alla sua Nedda, la me sposa, come la chiamava e qualcos’altro.
La Nedda desiderava quest’opera con tutte le sue forze perché el me Armando se lo merita, ma poi se ne è andata senza aspettarla perché quando si è chiamati bisogna lasciare tutto e partire. Armando, così riservato e fuori dalle pompe, ha voluto questo libro per lei, ne sono certo!
Ma allora chi è l’artefice dei testi di un volume così sostanzioso? Ecco la stranezza. Non c’è un autore. Ce ne sono 236! Tanti, infatti, coloro che, nell’arco della vita, si sono avvicinati all’amico, al maestro, al consocio, all’alpinista Armando Aste, con una epistola di vario genere.
Fra questa moltitudine di “collaboratori” spiccano nomi altisonanti come Aiazzi, Barbier, Bonington, Buscaini, Cassin, Da Roit, Desmaison, Ferrari, Fox, Frizzera, Gogna, Gross, Livanos, Maestri, Maffei, Mazeaud, Messner, Navasa, Pellegrinon, Pisoni, Solina, Stenico, Susatti, Terray, Tissi, Zeni e tanti altri che non nomino per mancanza di spazio non perché siano meno importanti. Tutti i firmatari, infatti, hanno una loro ben definita personalità e ognuno è “maestro” di un particolare gruppo montuoso, di una parete, di una storia, di una filosofia che altri non sanno perché i media sono sempre impegnati sui piani alti, sulla stratosfera dell’alpinismo.
Armando Aste, classe 1926, è accademico e socio onorario del Cai, esponente di primo piano di un alpinismo rigorosamente dilettantistico, internazionalmente riconosciuto come uno dei massimi scalatori del secondo dopoguerra. Ha tracciato itinerari di massimo impegno su tutte le Dolomiti, spesso in solitaria.
Il suo poker d’assi sta sull’imponente bastionata meridionale della Marmolada d’Ombretta. Qui, nel 1958 con Toni Gross, sale il Piz Serauta; nel 1959 è ancora sul Serauta e apre la Direttissima; nel 1964 sale la via dell’ideale alla Marmolada d’Ombretta; nel 1965 apre la via della Canna d’organo, tutte con Franco Solina, uno dei suoi compagni più fedeli.
Proprio con lui e Pier Lorenzo Acquistapace compie la prima salita italiana della parete nord dell’Eiger nel 1962 assieme ad un’altra nostra cordata composta da Gigi Airoldi, Andrea Mellano e Romano Perego.
Sono passati cinquant’anni da allora. Una vittoria che verrà degnamente ricordata durante il prossimo Festival di Trento.
Nel 1963 sale la Torre Sud del Paine nella Patagonia cilena.
Aste è anche autore di due libri indimenticabili: Pilastri del cielo (Reverdito, 1975 e Nordpress, 2000) e Cuore di roccia (Manfrini, 1988).
Bepi Pellegrinon, che ha “inseguito Aste ripetendo alcune delle tante vie che aveva realizzato”, ricorda in particolare quella sulla parete nord-ovest della Punta Civetta “con quel passaggio nella fessura finale che giustamente è reputato come uno dei più difficili mai realizzati in arrampicata libera”. Aste “era diventato un prim’attore, una stella di infinita grandezza, col suo inconfondibile stile fatto di forza e prudenza e con la sua personalità di amore, modestia, altruismo, disponibilità: un esempio. Questi valori hanno rappresentato il completamento di un excursus alpinistico attento non solo alla pratica atletica della sfida col monte, ma anche carico di motivazioni ideali. Aste è diventato una leggenda. Spesso abbiamo sorriso di fronte alla ostentata religiosità del suo impegno, della sua vicenda personale. Col passare degli anni ci siamo resi conto che la sua testimonianza umana ha illuminato anche il nostro vivere, tanto da sentirlo come un fratello”.
L’epoca di Aste è stata quella “delle direttissime, delle solitarie, delle invernali, ma è stato pure un percorso umano segnato dal bene e dalla solidarietà che ha rimesso l’uomo al centro di ogni nostro atto e che ha guardato soprattutto ai valori dello spirito”.
I giovani, soprattutto, scopriranno in questo volume un mondo scomparso definitivamente. Il mondo di Aste. Nel quale vigeva, sì, una “sfida” alla montagna (altrimenti non si potrebbe parlare di alpinismo), ma era un “duello” onesto, cavalleresco.Nel suo mondo primeggiavano innanzitutto la prudenza, il rispetto per la vita, gli ideali, la fede.
Forse per questo Armando Aste è, e rimane, un alpinista “unico”. O quasi!

Commiato - 2013

Commiato, copertina Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2013.

Presentazione di Loris Santomaso.

È per lo meno singolare che gli amici di Armando Aste abbiano voluto affidare a me, che non ho mai salito i monti, il compito - e la responsabilità - di scrivere alcune righe di premessa a questo suo nuovo importante libro. Grato per tanta fiducia, lo faccio volentieri soprattutto per un debito di riconoscenza verso Armando che ha arricchito la mia esistenza con il dono prezioso della sua amicizia, sinceramente ricambiata. Ma non posso nascondere che, nell’accingermi a farlo, mi sento un po’ come l’alpinista che si appresta ad affrontare un’ardua ascensione.
M’intriga in modo particolare, infatti, il titolo dato all’opera, con tutta la profondità del significato che la parola “commiato” rappresenta, unitamente a una sua corretta interpretazione. Sulla soglia delle 88 primavere, e a distanza di due anni dall’uscita di “Alpinismo epistolare”, l’originale sintesi di una vita, «una specie di “testamento spirituale” amorevolmente sollecitato e condiviso dalla sua adorata Nedda», il grande alpinista di Rovereto ha ancora qualcosa da dirci.
E lo fa con la ben nota schiettezza e onestà intellettuale e morale per ribadire la sua concezione dell’alpinismo, lo spirito ideale che ha coerentemente accompagnato tutta la sua esistenza, di cui peraltro non ha mai fatto mistero. Ma perché non restino dubbi sul suo pensiero, questa volta si prende pure la “licenza” di togliersi, come si suol dire, qualche “sassolino dalle scarpe” che non mancherà di coinvolgere il lettore, e non solo per mera curiosità.
Ne ha, ovviamente, piena facoltà, non fosse altro perché con la montagna e con le tante pareti che si sono succedute nella sua straordinaria vicenda alpinistica, ha sempre privilegiato - come è noto - un rapporto intimistico prima ancora che tecnico. Perché, al di là della sua indubbia bravura nell’affrontare e superare il grado estremo delle difficoltà, ho sempre trovato edificante la sua concezione “religiosa” dell’alpinismo, del suo salire e conquistare le vette non tanto e non solo come puro esercizio fisico, quanto piuttosto come ricerca e appagamento spirituale nel raggiungimento delle cime così vicine al cielo.
Richiamando un’approfondita analisi di Bepi Mazzotti, secondo cui l’azione fisica non è altro che la manifestazione esteriore di una superiore attività spirituale, che resta movente e cardine dell’azione stessa, «cos’è allora l’alpinismo da un certo punto di vista», si è continuamente chiesto Aste «se non l’espressione esasperata di un bisogno d’evasione da questa nostra natura finita?». E ancora «…la idealità che ispira l’alpinismo non può essere compresa da coloro che riguardano ogni cosa sotto l’aspetto utilitaristico, privi della naturale sensibilità e inclinazione verso temi ascensionali di ordine spirituale oltre che fisico. Perciò ad essi sfuggirà l’intimo e più alto valore di ogni salita alpina».
Quella naturale sensibilità che ha effettivamente sempre caratterizzato la sua attività alpinistica, in un susseguirsi di centinaia di ascensioni, di innumerevoli vie nuove, di grandi imprese solitarie e conquiste di montagne in altri continenti (in Patagonia per non dire della prima salita italiana della parete nord dell’Eiger nell’agosto 1962), non dimenticando certo le Dolomiti e l’Agordino che è stato una specie di scrigno dal quale ha tratto un poderoso insieme di salite (Marmolada, Focobón, Civetta e Agnèr) che fanno parte della storia dell’alpinismo e hanno contribuito a consacrarlo fra i grandi della montagna. Ma non solo un fuoriclasse dell’alpinismo, l’uomo Aste è sempre stato soprattutto un grande amico delle nostre vallate, delle nostre montagne, dei gestori dei nostri rifugi, dei nostri alpinisti (fraterno, fra gli altri, il suo rapporto con Armando Tama Da Roit).
Una vicenda, la sua, che mi piace riempire di musicalità poetica e che, in “Commiato”, assume, secondo il Petrarca, i connotati dell’ultima strofa di una canzone con cui il compositore si congeda dalla canzone stessa o meglio, come intendeva Ungaretti, di una sorta di "diario lirico" con cui il “Poeta”, con termini semplici e chiari, riesce a esprimere il pensiero e la concezione che hanno segnato l’esperienza di una vita.
Grazie, Armando, per averci ricordato ancora una volta che “gli uomini di buona volontà, sia pure per strade diverse, vanno tutti verso una unica meta”.

Nella luce dei monti - 2015

nella luce dei monti, copertina Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2015.

Presentazione del dott. Carlo Spagnolli.

Quando il caro amico Armando mi ha chiesto, lo scorso settembre, dopo aver ricordato insieme la figura di mio Papà, nella splendida cornice della Val Genova, di scrivere la prefazione di questo suo ultimo libro, ne sono stato felice, perchè da sempre, dopo averlo conosciuto ed ammirato in gioventù, grazie alla sua amicizia profonda con Papà, sono entrato in sintonia con la sua anima, con la forza del coraggio e della fede con cui ha combattuto sempre la buona battaglia della vita.
Armando è sempre stato per me un faro e un’àncora nel mare della vita, anche se da quasi quarant’anni viviamo in altri Continenti.
Il collegamento spirituale resta ed è solidissimo!
La Montagna, per me e per lui, è stata sempre una Maestra di vita, vissuta in maniera cosciente e non competitiva, amata profondamente come Madre, cercata nei suoi silenzi e nella sua magica bellezza, nell’abbraccio che solo Lei sa dare.
Come scrive Armando, la Montagna ci insegna a vivere se accettiamo i nostri limiti: tendere a salirla con cuore pieno di gioia e di desiderio di raggiungerne la cima, ma anche saper rinunciare ad essa se la nostra vita ne fosse messa in pericolo. Mai mettere in pericolo il dono della vita per una stolta ricerca del record in montagna! La lezione di Armando nel salire in sicurezza in prima italiana la Nord dell’Eiger dimostra la grandezza del suo animo, a dispetto di quei piccoli uomini che lo hanno criticato. Nel mio settore, come chirurgo, ho sempre insegnato ai miei giovani colleghi che quel che conta è operare in sicurezza e professionalità e non cercare di abbassare il record del tempo, con conseguenze spesso fatali per il malato. Prima di tutto, rispettare la Vita.
La Montagna significa accettare la fatica, come mezzo per arrivare alla cima, e grazie ad essa godere della felicità della conquista o solo della sua bellezza. Niente costa niente, nella vita vissuta bene: tutto deve essere conquistato con passione, dedizione e fatica, per avere vero valore e durare nel tempo!
Tutti abbiamo le nostre Montagne da scalare nella vita, nello studio, nel lavoro e nelle responsabilità che ci assumiamo verso le nostre famiglie e il nostro prossimo.
La Montagna è una metafora della nostra ricerca dell’Assoluto, che è poi l’unica vera Sorgente di felicità che può appagare il nostro cuore, la nostra sete di verità e di bellezza.
Come dice giustamente Armando in questo libro con grande saggezza, l’Alpinismo non è un valore assoluto, ma ci deve insegnare a metterci in cordata per essere tutti in sicurezza, sia sui Monti reali che su quelli in cui la Vita e la Provvidenza ci mettono a vivere. Pensare al bene ed alla felicità del nostro prossimo, non abbandonarlo sui precipizi, nei burroni e sulle lande ghiacciate e inospitali in cui vive purtroppo la maggioranza dell’Umanità, a causa dell’egoismo e della ricerca sfrenata del potere e del denaro dei pochi Potenti di questa terra. Ognuno di noi dovrebbe sempre considerarsi in cordata col suo prossimo, esattamente nel posto e nell’epoca in cui è chiamato a vivere e lavorare. Mai lasciare indietro nessuno sulla strada della vita!
Ognuno di noi, come dice Armando con felice espressione, dovrebbe mettersi dalla parte degli Ettore della vita e difenderli dalla prepotenza degli Achille che detengono potere, ricchezza e sapere e contemporaneamente distruggono la Terra Madre.
Anche perchè, in un Mondo spesso proteso alla ricerca cieca della felicità materiale ed effimera, bisogna saper ricordare a fratelli e sorelle che l’unica vera felicità non si può mai trovare nelle ricchezze materiali o nella fama mondana, ma sempre e solo nella condivisione dei nostri talenti con chi ha più bisogno, spirituale e materiale. Sembra così ovvio, ma non lo è per molti: la vera felicità si raggiunge già in questo mondo solo facendo felici le persone che vivono attorno a noi, con la preferenza per i poveri, gli oppressi e gli ammalati.
Come la Montagna porta istintivamente a ringraziare Dio che ce l’ha messa a disposizione e ci dà la salute per ascenderla e goderla, così nel grande Mondo, sia a casa che oltre i confini, Dio è presente e godibile negli occhi dei bambini, nell’eroismo quotidiano di donne e uomini che lottano senza mezzi contro malattie, povertà e oppressione, che sopportano indicibili sofferenze senza indurire il loro cuore e nonostante tutto sorridono e ringraziano il buon Dio per essere vivi! Sono loro quelli che ti danno gioia di vivere e forza per continuare la buona battaglia…. Sono loro i veri Santi ed Eroi di cui parla Armando nel suo libro. Questa è stata e rimane la mia esperienza personale di 39 anni di vita di Medico in Africa, dove ho riscoperto la Verità del Messaggio di Gesù nell’aiutare le Donne a creare il mondo nuovo, mettendo alla luce i loro figli, e tutti i miei cari Malati a guarire dalle malattie e ad attenuare le loro sofferenze. Si riceve il cento per uno del Vangelo, se si sa vedere Dio nel prossimo e gli si viene incontro: è così semplice!
Ed è così consolante.
Provare per credere!
Mi fa tanto piacere che Armando, uno scalatore tra i più grandi e completi mai esistiti, con la sua consueta umiltà riconosca il primato della giustizia e della carità e il valore di tanti Alpinisti con la A maiuscola citati nel suo libro, che hanno scoperto e attuato concretamente il legame tra Alpinismo e Solidarietà: hanno compreso che l’amore per la Montagna li ha predisposti a mettere in cordata tutte le persone che soffrono e non possono esprimere i loro talenti a causa della povertà, della malattia e della mancanza di educazione scolastica. Molti di questi Alpinisti sono anche miei cari Amici, alcuni attivi sui monti e nella vita, altri passati al Cielo e altri ancora costretti sulla carrozzella ma sempre protesi verso il Bene e di esempio per tutti.
Essendo stato Scout, mi è sempre piaciuto tantissimo e mi piace tuttora il canto “Madonna della Strada”, che è la metafora del nostro cammino in questa vita, protesi verso l’Assoluto, tra fatiche e ostacoli, ma mai dimentichi di coloro che la Vita pone sulla nostra Strada:

Madonna della strada, ascolta t’invochiam
Concedi un forte cuore a noi che ora partiam
La strada è tanto lunga,il freddo già ci assal
Respingi tu Regina, lo spirito del mal

E il ritmo dei passi ci accompagnerà
Là verso gli orizzonti lontani si va

E lungo quella strada non ci lasciare tu
Sul volto di chi soffre saprem trovare Gesù
Allor ci fermeremo le piaghe a medicar
E il pianto di chi è solo sapremo consolar

Caro Armando, questo tuo ultimo libro, come "Pilastri del Cielo" che è per me indimenticabile, dimostra la tua vera vocazione nella vita!
Essere un Canale pieno di acqua fresca e pura che porta conoscenza, amore e verità ad un’Umanità assetata di veri valori ma spesso disorientata e confusa. Essere tramite con l’Assoluto, per il bene di chi ti legge!
Sei stato un grande nelle eccezionali salite su roccia, ma sei ancora più grande nel dare significato al tuo amore per la Montagna, facendo partecipi dei Suoi valori i tuoi lettori, scrivendo per te e per loro, aprendo per tutti i veri Orizzonti per raggiungere i quali bisogna e vale la pena vivere e combattere. GRAZIE!
Oltre alle Montagne della povertà, della sofferenza e dell’ingiustizia, qui in Africa ho scoperto e amato altre vere e belle Montagne: il Kilimanjaro, il Ruwenzori, l’Elgon, i monti e i canyons d’Etiopia e ultimamente qui in Zimbawbe le splendide colline granitiche di Ngomakurira, Mutoko e Murehwa, ricchissime di pitture rupestri datate 12.000 anni, opera dei Khoi-San, la popolazione originaria dell’Africa e quindi antenati di tutta l’Umanità, poi sterminata dalle invasioni successive di popoli e gruppi etnici sia neri che bianchi.
Questo popolo saggio e rispettoso, che viveva in simbiosi con la Natura creata da Dio senza distruggerla, venerava l’Assoluto sulle cime delle Montagne dell’Africa australe, dimostrando così, già nella preistoria, l’anelito dell’uomo verso il Cielo. Visitare questi siti è come entrare in un Santuario, dove si avverte un forte afflato di spiritualità e di rispetto del Creato, che tutti dovremmo adottare e vivere per rispetto a Dio e per la nostra stessa sopravvivenza. Sono esperienze, anche queste, che lasciano il segno e ci riempiono il cuore di gioia e di ammirazione.
Un’ultima riflessione mi suggerisce il tuo libro, "Alpinismo in sottofondo", così ricco di persone, aneddoti ed esperienze di vita, così godibile nella sua semplicità e grandezza.
Per poter trasmettere un messaggio come il tuo bisogna avere avuto il coraggio di buttarsi nel buio e nell’ignoto, su pareti vergini (che siano vere o della vita), non per amore del rischio in sè ma per la Fede che Dio ci chiede, prima o poi, perchè troviamo noi stessi e la nostra vocazione nella vita abbandonandoci senza calcolo e fidandoci del bene che Lui ci vuole. Sapersi mettere in gioco, anche a proprio rischio, per il Bene nostro e del nostro Prossimo. Solo così ci cadono le bende dagli occhi e iniziamo a vedere la Verità delle cose e delle persone, iniziando a percorrere la Strada che Lui ha preparato da sempre per noi. Una strada necessariamente stretta e faticosa che ci conduce, tra ostacoli e cadute, infallibilmente sulla Vetta.
Cosa ti devo dire di più, caro Amico Armando? Posso solo ringraziarti, a nome di tutti quelli che ti leggono, per aver messo a frutto con tanta generosità e intelligenza i tuoi talenti e la tua vocazione, e averli messi a disposizione di tutti come fonte di montagna, fresca e cristallina, per tutti noi che abbiamo bisogno di Via, Verità e Vita.
Grazie ancora per avermi scelto per scrivere questa prefazione, che consegno a te con tutto il mio cuore, sperando che ti porti tutta la gioia che ti meriti!
Sempre uniti nel Bene, sempre insieme sul Cammino della Vita.

Stagioni della mia vita - 2016

stagioni della mia vita, copertina Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2016.

Presentazione dell'autore.

Osservando i chiari segni premonitori, penso che questo libro, presumibilmente, sarà l'ultima mia fatica. Questo, senza porre limiti alla Provvidenza.

Ad ogni modo, penso di poter dire che, in tutto il mio tempo, non ho mai sofferto di alcun complesso di inferiorità; perché so che ogni essere umano è unico e irripetibile. Ho provato rispetto, sì, ed anche ammirazione e deferenza, ma non altro.
Non è superbia né presunzione, ma solo consapevolezza.
Mi sono felicemente e consapevolmente sottoposto al progetto di Dio che sta sopra a tutto e a tutti. Amen.
La prima motivazione ed aspirazione del mio peregrinare fra i monti è stato per scalare me stesso, per la ricerca di bellezza e di gioia, che non si possono toccare e raggiungere, perché appartengono alla sfera dello spirito, che sta sopra al sensitivo. Come la vetta ideale che non si può raggiungere ma solo desiderare. Perché la vera bellezza sta “dentro”. Magari tu non lo sai e non te ne accorgi. La bellezza che cade sotto i nostri occhi ne è solo una parvenza illusoria e transitoria. Inafferrabile.
Anche perché l'uomo, ovunque egli passi, purtroppo ha la triste capacità di rompere un incanto, distrutto per sempre. Questo è una sorta di freno alla presunzione di voler essere come Dio. Il narcisistico dio di se stessi. Abbiamo in noi un irrefrenabile bisogno di trascendenza più o meno avvertita, che ci fa capire la futilità delle cose passeggere.
Se guardo un quadro, magari posso godere dell'accordo cromatico del dipinto, ma la vera bellezza sta nascosta in quello che voleva esprimere l'autore e addirittura nell'impotenza spirituale di poterla esprimere concretamente. Le interpretazioni degli esperti e dei critici non si sa se e quanto possano collimare con il pensiero e l'intuito dell'artista che magari sono nascoste all'autore stesso. E così per tutte le arti che esprimono la bellezza. La musica, la poesia, la scultura, l'architettura e tutte le manifestazioni della creatività umana. Sono un segno emblematico di manifestare, di far emergere un frammento di bellezza e di gioia, che un privilegiato essere umano sente dentro di sé e che vuol farne parte agli altri, dopo la ricerca in se stesso.
Quando, orgoglioso dei segni tracciati sulle maliose pareti, come altrettante creazioni dello spirito, mi è concesso di salire in vetta ad una montagna, in un bagno di luce e di splendore, la mia piccola gioia è offuscata dal pensiero dei minatori, costretti a guadagnarsi il sofferto pane, lavorando sotto un buio cielo di roccia, non posso fare a meno di sentirmi quasi in colpa per l'immeritato privilegio che mi è dato.

L'Angelina - 2017

L'Angelina, copertina Nuovi Sentieri Editore, Falcade (BL), 2017. Pubblicato postumo.

Presentazione di Bepi Pellegrinon e Loris Santomaso.

RITORNO A CASA…
«Era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core…». Parafrasando l’incipit del canto VIII del Purgatorio della Divina Commedia, non è da escludere che Armando si sia ispirato proprio al sommo poeta Dante nel dare corpo a questo libro. La sua ultima fatica, con cui ha forse inteso adempiere al proposito enunciato, ma non mantenuto nel precedente «Commiato», seguito al sorprendente voluminoso «Alpinismo epistolare» del 2011. Una passione per la scrittura la sua, coltivata soprattutto negli ultimi anni, dopo aver ricercato e cantato la spiritualità dei monti in «Cuore di roccia», il primo libro che, nel 1988, come ha scritto Diego Andreatta in “Avvenire”, «rivelò la ricchezza contemplativa e letteraria di questo trentino apparentemente schivo».
Ma dopo lo straordinario “navigante” delle ardue pareti delle Dolomiti e della Patagonia, aggrappato agli appigli della roccia, con bivacchi su strettissime cenge, ma con gli occhi e il cuore in alto “alla ricerca dell’infinito”, quello che si rivela in queste pagine è il grande alpinista che, dopo le grandi imprese, i grandi gesti, il grande “daffare” di corde, chiodi e piccozze, volge lo sguardo in basso, torna a casa, al paese e agli affetti che lo hanno generato e cresciuto, compiendo il naturale percorso a ritroso, ora alla riscoperta delle origini, sospinto dal vento buono del ricordo di «…lassù (a Cavazzino) dove ho imparato ad amare la terra, non solo in senso etimologico, ma soprattutto come accogliente abitazione dell'essere umano e di ogni forma di vita».
Sono queste le emozioni suscitate dalle ultime righe vergate da una delle figure più luminose e carismatiche dell’alpinismo italiano e internazionale e che, forse presago del giorno dell’addio (che aspettava serenamente, ma senza fretta, come soleva dire), si fa qui «novo peregrin d’amore» soprattutto verso una persona che gli è rimasta particolarmente cara come la centenaria prozia Angelina, donna minuta e di bassa statura, nata nel 1883 nell'angusta Valle dei Mulini o Valle di Cavazzino, la cui «venuta in casa nostra fu una benedizione».
È arrivata dunque l’ora della “sosta”, del respiro lungo e, dopo lo sguardo vagante su panorami vasti, quello su paesaggi senza confini, sugli orizzonti interiori dello spirito a lui profondamente cari. È il tempo delle rimembranze, della cordata dei ricordi che dalla singolare figura di Angelina si dipana nei tanti avvenimenti di paese, nei tanti personaggi incontrati nella lunga vita, nelle vicende e vicissitudini di gioventù: la famiglia (l’ampia cucina fumosa, con le pareti annerite dal tempo…), i genitori e l’adorata moglie Nedda, i fratelli (i tanti anni dedicati con amore ad Antonio, divenuto la «mia cordata»), come pure il lavoro “a tempo indeterminato” in manifattura, dopo aver vinto regolare concorso.
Ed è umanamente comprensibile che non riesca a celare la nostalgia perché «ora, pur col rimpianto di un incanto svanito per sempre, quei luoghi dove ho vissuto la mia gioiosa, prima fanciullezza, sono coperti di enormi masse spinose. So che sotto le macerie di quello che era un mulino da conservare, sono sepolte le macine, che mi parlano ancora. A pensarci mi viene da piangere».
Ma ancora una volta si fa strada nel suo pensiero la solida fede, una religiosità convinta, a volte ostinata, ostentata sempre con fierezza, senza rispetto umano se non quello dovuto al diverso credo altrui; un’interiorità che, nel timore di non aver fatto abbastanza per gli altri, secondo il comandamento dell’amore, gli fa dire che «alla fine il Signore non mi chiederà quante scalate ho fatto, ma quanti fratelli avrò aiutato». E Dio solo sa quanta silenziosa, ma concreta carità cristiana abbia sparso a larghe mani il gran cuore di Armando.
Ma a chiusura di queste brevi note, gli si farebbe torto se si ignorasse un aspetto altrettanto autentico della sua umanità: la gioviale e composta arguzia del suo scanzonato e godibile raccontare fra amici, nei momenti di svago, spesso nella serenità dei monti agordini dove ha lasciato profonda traccia del suo salire e della sua amicizia. Quella divertente leggerezza che in queste pagine respiriamo nei “pensieri estemporanei seriosi o faceti”, espressi con spiccato senso dell’umorismo, ma sempre con il garbo della misura e dell’intelligenza.
Anche per questo, caro Armando, serberemo di te la più affettuosa e riconoscente memoria.

1° settembre 2017
Giorno del suo commiato nella Giornata mondiale del Creato

Bepi Pellegrinon e Loris Santomaso